venerdì 25 luglio 2025

La comunicazione che blocca l'empatia

 

Provare gioia nel dare e nel ricevere con empatia fa parte della nostra natura. 

Tuttavia ci sono forme di “comunicazione che aliena dalla vita”, che ci portano a parlare e a comportarci in modi che feriscono gli altri e noi stessi. È un po' come con le stalattiti e le stalagmiti, il calcare che le compone è fragile e delicato e il contatto umano può danneggiarle, rallentando la loro crescita e alterandone la forma e il colore. 


Anche la comunicazione umana è delicata e fragile, proprio come queste formazioni calcaree. Ci sono in particolare tre forme di comunicazione che alienano dalla vita e danneggiano forma  e colore delle relazioni:

  1. L’uso di giudizi moralistici che implicano il torto o la cattiveria di coloro i quali non agiscono in armonia con i nostri valori. 
  2. L’uso di paragoni, che possono bloccare l’empatia sia verso noi stessi che verso gli altri. 
  3. La non consapevolezza di essere ognuno responsabile dei propri pensieri, sentimenti ed azioni. 
  4. Comunicare i nostri desideri nella forma di pretese.  

Un racconto per capire meglio:

In un seminario sui pericoli di un linguaggio che implica la mancanza di scelta e quindi blocca l’empatia, una donna, con rabbia, obbietta al relatore: 

“Ci sono cose che si devono fare, che ci piaccia o no, e non trovo proprio niente di male nel dire ai miei figli che ci sono cose che anche loro devono fare”. 

Il relatore chiede un esempio di qualcosa che deve fare e lei ribatte: 

“È facile! Questa sera devo andare a casa a far da mangiare. Io odio cucinare! L’odio con tutta l’anima, ma l’ho fatto tutti i giorni per vent’anni, anche quando ero ammalata, perché era una di quelle cose che si devono fare e basta!“. 

Il relatore risponde: 

“Mi dispiace sentirla dire che ha passato così tanto tempo della sua vita a fare qualcosa che odia, che si sente obbligata a fare e spero che imparando il linguaggio della comunicazione non violenta possa scoprire una strada più felice”.

La signora era una studentessa assai veloce. Finito il seminario andò a casa e annunciò alla sua famiglia che non voleva più essere la sola a dover cucinare. Il figlio maggiore sospirò e disse: 

“Grazie a Dio! Finalmente tu smetterai di lamentarti ogni volta che ci sediamo a tavola e anche noi possiamo fare qualcosa, magari meno perfetto e buono di quello che fai tu, ma possiamo sempre migliorarci e imparare.” 

Quello che fai lo fai per forza, per dovere? 

Aiutata dalla comunicazione non violenta, puoi trovare una strada più felice? 

Provare per credere e, se vuoi, 

fammi sapere com’è andata.

Ma se vuoi approfondire puoi attingere direttamente al libro: "Le parole sono finestre oppure muri" di Marshall B. Rosenberg ed. Esserci.

La prossima settimana ti racconterò il terzo capitolo: Come “Osservare senza valutare”.


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