sabato 30 agosto 2025

Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato 2025

Il tema della X Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, 1° settembre 2025, scelto dal Papa Francesco, è Semi di Pace e di Speranza

Molte volte Gesù, nella sua predicazione, usa l’immagine del seme per parlare del Regno di Dio, e alla vigilia della Passione la applica a sé stesso, paragonandosi al chicco di grano, che per dare frutto deve morire (cfr Gv 12,24). Il seme si consegna interamente alla terra e lì, con la forza dirompente del suo dono, la vita germoglia, anche nei luoghi più impensati, in una sorprendente capacità di generare futuro. Pensiamo, ad esempio, ai fiori che crescono ai bordi delle strade: nessuno li ha piantati, eppure crescono grazie a semi finiti lì quasi per caso e riescono a decorare il grigio dell’asfalto e persino a intaccarne la dura superficie.

Dunque, in Cristo siamo semi. Non solo, ma “semi di Pace e di Speranza”. Come dice il profeta Isaia, lo Spirito di Dio è in grado di trasformare il deserto, arido e riarso, in un giardino, luogo di riposo e serenità: «In noi sarà infuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre. Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, in luoghi sicuri» (Is 32,15-18).

Queste parole profetiche, che dal 1° settembre al 4 ottobre accompagneranno l’iniziativa ecumenica del “Tempo del Creato”, affermano con forza che, insieme alla preghiera, sono necessarie la volontà e le azioni concrete che rendono percepibile questa “carezza di Dio” sul mondo (cfr Laudato si’, 84).La giustizia e il diritto, infatti, sembrano rimediare all’inospitalità del deserto. Si tratta di un annuncio di straordinaria attualità. In diverse parti del mondo è ormai evidente che la nostra terra sta cadendo in rovina. Ovunque l’ingiustizia, la violazione del diritto internazionale e dei diritti dei popoli, le diseguaglianze e l’avidità da cui scaturiscono producono deforestazione, inquinamento, perdita di biodiversità. Aumentano in intensità e frequenza fenomeni naturali estremi causati dal cambiamento climatico indotto da attività antropiche (cfr Esort. ap. Laudate Deum, 5), senza considerare gli effetti a medio e lungo termine della devastazione umana ed ecologica portata dai conflitti armati.

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La Santa Sede, messaggio di Sua Santità Papa Leone XIV

Dal Vaticano, 30 giugno 2025, Memoria dei Santi Protomartiri della Chiesa Romana

LEONE PP. XIV

lunedì 18 agosto 2025

La mia ricerca della felicità

Da sempre sono una ricercatrice di felicità, non sempre ho cercato nel posto giusto, ma sempre ho cercato e continuo a farlo, penso di concludere la ricerca con la fine della mia vita terrena.

La vita, nella mia giovinezza, mi spingeva a credere che la felicità fosse nelle cose, nelle esperienze belle e vincenti, nel successo, nell’amicizia, nella cultura, nell’intelligenza, nelle relazioni a volte cosificate, insomma in una vita piena di distrazioni(1). Credevo che quel vuoto che sentivo, se lo avessi riempito di belle esperienze sarei stata felice. Ma la vita spesso mi ha spiazzato e lo ha fatto quando mi sono accadute cose fuori dalle mie aspettative. Il male esiste, esiste la sofferenza, la morte, ma io ho sempre pensato che fossero problemi degli altri e non miei. Quando ho preso consapevolezza del fatto che erano anche miei problemi ho avuto paura e sono stata sopraffatta dai miei limiti e dalle circostanze sfavorevoli della vita, dal sentirmi sbagliata; cercavo di risolvere il problema non pensandoci, facendo finta di niente, lasciandomi ingoiare dal buio, dalla paura, dalla tristezza e ripeto, dalle distrazioni. 

Ma ad un certo punto mi sono accorta che temendo di soffrire, soffrivo già di ciò che temevo e quindi soffrivo di più. Mi sono accorta che più cercavo di riempire il mio vuoto e più quello diventava grande e ho deciso di non fuggire più dal mio male, dal dolore innocente, dalla sofferenza di persone care, dal quotidiano e mi sono chiesta: che senso ha tutto questo? 

Prima di chiedermi che cosa sia la felicità ho dovuto chiedermi che senso ha la mia vita rispetto a ciò che la vita mi ha riservato e ancora mi riserva e mi riserverà. Qualcuno (anche io stessa) aveva bisogno di me e io avevo qualcosa da dare a lui/lei, a me stessa.

Gibì e Doppiaw di Walter Kostner

Così ho smesso di pensarmi sbagliata e ho sentito la mia vita significativa, non mi è più importato se tutto mi era contro, se tutto era faticoso, se le mie aspettative erano disattese. Quando ho capito che le fatiche che vivevo ogni giorno erano significative ho scoperto la felicità, la felicità di un senso. Quando ho imparato a guardare dentro le mie fragilità, ad attraversarle, a condividerle, a vedere che in fondo a quel buio non c’era solo un pauroso vuoto, ma uno spazio che potevo abitare, allora ho sperimentato la felicità.

Ho cominciato a fare i giusti investimenti nella mia vita quando ho scelto di smettere di cercare il fare, lo strabiliante, l’eclatante per accogliere e attraversare la sofferenza, mia e altrui, quale unico punto di accesso ad una vita più profonda. Ho sperimentato che la felicità è Qualcuno e non qualcosa. Però ho avuto bisogno di tanto coraggio, come dice Lonergan nel metodo(2), e di un compagno di viaggio che camminasse con me nel mio buio. Mi sono accorta che da sola non potevo vivere certe fatiche, non potevo lottare contro il male, non potevo scendere nelle profondità di me stessa; intravedevo una felicità nascosta nelle mie cose, nelle mie piccole o grandi cose, anche quelle più oscure e non avrei mai potuto affrontarle e vincerle, non avrei saputo come andare avanti da sola, perché non basta la “conversione intellettuale”(3), non basta fare l’analisi e comprenderla, mi serviva l’attraversamento del buio, mi serviva “imparare a dimorare”(4) nella mia debolezza. Troppo spesso sono stata spaventata dalla mia fragilità, sono passata per la negazione, per la rimozione, per la paura, ma questo mi rendeva invisibile, era spaventoso ciò che immaginavo e me ne sentivo schiacciata. Tuttavia dentro di me, nella mia interiorità c’era una forza che premeva e che mi spingeva a farlo quel viaggio, mi “diceva”: la tua salvezza è nell’attraversamento, non avere paura, non temere. Era Dio che attraverso la sua Parola seminata in me faceva germogliare il coraggio. Ho dovuto imparare ad ascoltarmi, ad affrontarmi; per capire la mia vita ho dovuto affrontare la vita, quello che mi portavo dentro e mentre l’affrontavo, riuscivo anche a capirci qualcosa e ad essere felice. 

Gibì e Doppiaw di Walter Kostner

Il Signore mi ha promesso di aiutarmi nei fatti e ha mantenuto la promessa, ha fatto la strada con me, mi è stato vicino attraverso qualche buon compagno di viaggio. La felicità, per me, è passata attraverso la fiducia e il coraggio di camminare dentro il mio dolore con il Signore. È così che ho scoperto un segreto: non potevo soccorrere da sola la parte più dolorante di me stessa, ma potevo farlo negli altri e con gli altri che sono il luogo dell’incontro e della vicinanza di Dio; io ho sempre cercato disperatamente di essere amata, ma l’unico modo che ho trovato per sentirmi veramente amata è stato quello di amare per prima, quando volevo un abbraccio ho deciso di farlo per prima, ho scelto di fare agli altri ciò che volevo che gli altri facessero a me. Quando rimanevo ostinatamente chiusa e arrabbiata perché mi mancava qualcosa ho cercato di soccorrere questa mia mancanza negli altri; rinunciando a quell'egoismo che mi faceva guardare solo a me stessa ho potuto alzare lo sguardo attorno a me, ho visto che quello che cercavo era esattamente accanto a me e ho trovato la felicità, ho visto “l’essenziale che è invisibile agli occhi”(5), ho attraversato la “violenza inaudita del senso”(6). Adesso mi sento molto felice e non perché la mia vita va sempre bene, la mia fragilità è sempre presente e anche quella degli altri, ma mi mantiene con i piedi per terra, a volte sono ancora al buio, ma lo conosco, mi è amico e non sono più sola nelle mie tenebre. Questa per me è, in sintesi, la felicità: sentire di appartenere a Qualcuno. Da quando ho scoperto questo so cos’è la felicità e tutto il resto va sempre bene. Dio mi guarda con Benevolenza, mi Ama di amore incondizionato, non mi lascia sola se non il tempo necessario per farmi strada e questo per me è felicità. Non si tratta di ragionamenti, di idee o di pensieri, ma di disobbedienza alle mie logiche egoiche che sono matematicamente perfette, ma che hanno come risultato la tristezza. Quando ho disobbedito ai miei ragionamenti mi sono accorta che la vita risponde ai miei desideri perché la vita ha un nome: Cristo, il Cristo presente nel povero che ha bisogno di sentirsi semplicemente amato, toccato, curato, accarezzato, come dice Giovanni: “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita […], noi lo annunciamo a voi “(1Gv 1,1-2). 

Cristo non è un’idea geniale (di idee geniali ne ho sempre tante grazie alla mia creatività, ma non mi cambiano la vita), Cristo o è una persona che posso toccare, guardare, curare, abbracciare oppure non è. Adesso presto servizio ai più poveri tra i poveri, quelli che vivono alle periferie della città, in strada, quelle che nessuno vuole, la mia vita è piena di storie di salvezza, ho imparato a chiedermi quanto Cristo è nascosto in ogni storia per lasciarmi salvare da Lui nascosto nelle storie della mia e altrui vita. L’albeggiare della felicità nella mia vita è arrivata quando ho scoperto “l’amore ai fratelli più forte del rifiuto”(7), e questo nel quotidiano, ogni giorno, ogni attimo, ma quest’alba l’ho aspettata per 60 anni prima di vederla sorgere, solo adesso ne ho piena consapevolezza. 

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(1) B. PASCAL, Pensieri, Bur, Milano 2014, 370.
(2) B. MARCHICA, Consapevolezza, Messaggero, Padova 2018, 84-86.
(3) B. MARCHICA, Identità e finalità del Pastoral Counseling, Studium, Roma 2019, 203.
(4) A. LOUF, “Sotto la guida dello Spirito”, Qiqajon, Magnano(BI), 1990, 51. 
Spontaneamente pensiamo che la santità va ricercata nella direzione opposta al peccato e contiamo su Dio perché il suo amore ci liberi dalla debolezza e dal male e ci permetta così di raggiungere la santità. Ma non è così che Dio agisce con noi: la santità non si trova all’opposto bensì al cuore stesso della tentazione, non ci aspetta al di là della nostra debolezza ma al suo interno. Sfuggire alla debolezza significherebbe sfuggire alla potenza di Dio che è all’opera solo in essa. Dobbiamo dunque imparare a dimorare nella nostra debolezza, ma armati di una fede profonda, accettare di essere esposti alla nostra debolezza e nello stesso tempo abbandonati alla misericordia di Dio. Solo nella nostra debolezza siamo vulnerabili all’amore di Dio e alla sua potenza. Dimorare nella tentazione e nella debolezza: ecco l’unica via per entrare in contatto con la grazia e per diventare un miracolo della misericordia di Dio.
(5) A.D.S. EXUPÉRI, Il piccolo Principe, Àncora, Milano, 2015, 135.
(6) C. STERCAL, L’intelligenza dello Spirito, Centro Ambrosiano, Milano 2019, 31.
(7) FONTI FRANCESCANE, Della Vera e Perfetta letizia, Francescana, Padova,2004.  

sabato 9 agosto 2025

Lectio Divina: Puntata 2 (Spuntini per l'anima)



Decalogo dell’orante

  1. La contemplazione è la meta dell’esistenza cristiana: un giorno vedremo Dio faccia a faccia e lo conosceremo come siamo conosciuti. La contemplazione di Dio che godremo nell’eternità è preparata già da oggi dalla preghiera continua. 

venerdì 8 agosto 2025

Le parole sono finestre oppure muri: capitolo 4


Nel terzo capitolo abbiamo detto che l’osservazione è la prima componente della comunicazione non violenta. Bene!  La seconda componente necessaria per esprimere noi stessi sono i sentimenti. Sintetizzando:

  1. Osservare senza valutare
  2. Esprimere come ci si sente, ossia i propri sentimenti

Sviluppando un vocabolario di sentimenti che ci permetta di descrivere le nostre emozioni con chiarezza e specificità possiamo connetterci più facilmente l’uno con l’altro. Permettere a noi stessi di mostrarci vulnerabili esprimendo i nostri sentimenti, può aiutarci a risolvere i conflitti. La comunicazione non violenta distingue l’espressione dei sentimenti veri e propri da quelle parole e quelle affermazioni che descrivono pensieri, considerazioni ed interpretazioni.  

Esempio: 

Una moglie si sente sola e vorrebbe un contatto maggiore con il marito, più attenzioni. La signora afferma: “Mi sembra di vivere con un muro, glielo dico sempre”. Ma “Mi sembra di vivere con un muro” non è il modo migliore per portare i suoi sentimenti e i suoi desideri all’attenzione del marito. È più probabile che siano sentiti come una critica piuttosto che come un invito a mettersi in relazione. Tali affermazioni, inoltre, spesso portano a profezie che si auto avverano. Un marito che si sente criticato perché si comporta come un muro, è risentito e scoraggiato e non reagisce, il che conferma l’immagine di muro che la moglie ha di lui. 

COME SI FA? 

Esercizio pratico:

Prova a costruire il vocabolario dei tuoi sentimenti.

Per esprimere i sentimenti è utile servirsi di parole che fanno riferimento ad emozioni specifiche, piuttosto che parole vaghe o generiche che impediscono all’interlocutore di connettersi facilmente con i sentimenti che stiamo davvero provando. Ti indico una piccola lista di sentimenti per aiutarti ad accrescere il tuo potere nel mettere in parole i sentimenti e nel descrivere in modo chiaro un’intera gamma di situazioni emotive:

  • a mio agio
  • affascinato 
  • affettuoso 
  • agitato 
  • allegro 
  • amichevole 
  • baldanzoso 
  • appagato 
  • brillante
  • interessato 
  • ispirato
  • fiducioso
  • frizzante
  • gaio

E adesso continua tu, trova le tue parole per esprimere i tuoi sentimenti  ….

Se vuoi, fammi sapere com'è andata

Puoi sempre approfondire attingendo direttamente all’autore: “Le parole sono finestre oppure muri di Marshall B. Rosenberg” ed. Esserci. 

La prossima settimana ti racconterò il quinto capitolo: “Prendersi la responsabilità dei propri sentimenti”.


venerdì 1 agosto 2025

Le parole sono finestre oppure muri: capitolo 3




L’osservazione e la valutazione sono elementi importanti della comunicazione non violenta soprattutto quando desideriamo esprimere ad un’altra persona come ci sentiamo con chiarezza e onestà. Infatti se mescoliamo l’osservazione e la valutazione, riduciamo la probabilità che gli altri sentano e capiscano quello che vogliamo dire. È importante non mescolare ciò che vediamo con la nostra opinione, solo così ci salveremo dalla confusione. La prima componente della comunicazione non violenta comporta proprio la separazione dell’osservazione dalla valutazione. Quando combiniamo questi due elementi, gli altri saranno meno propensi ad udire una critica e opporranno resistenza a quello che diciamo. La comunicazione non violenta è un linguaggio di processo che scoraggia le generalizzazioni statiche al contrario, le osservazioni dovrebbero essere circostanziate, nel tempo e nel contesto. 

Ad esempio: invece di dire "Alex è un calciatore scadente",  si può dire "Alex non ha segnato nemmeno un gol in 20 partite". Scadente è un giudizio sulla persona, non ha segnato un gol in 20 partite è una semplice osservazione.   

COME SI FA? 

Esercizio pratico:

  1. Seguendo l’esempio di Alex, sopra indicato, prova ad osservare cosa accade    alle tue relazioni quando mescoli osservazione e valutazione